Il rischio della libertà di Nicola Morra

Giovanni Endrizzi non è sono soltanto un collega, ma è, anche e soprattutto, un amico, al quale mi sento fraternamente legato da esperienze che insieme abbiamo vissuto, condividendo la stessa stanza, dove si lavorava in gruppo, con spirito veramente di servizio per la nostra idea.

Il suo romanzo prende spunto da una dimensione che è sempre più devastante nel tempo in cui viviamo, l’azzardopatia, di cui Giovanni è, per giudizio unanime, a livello parlamentare e non soltanto, tra i principali conoscitori e specialisti.

Nella nota introduttiva del libro, l’autore spiega il perché del titolo di quest’opera, e scrive alla fine del testo che «Vincer veramente non può essere frutto di un caso: una “vincita” una vittoria senza orgoglio».
Bene, io credo che proprio queste parole siano la strada maestra da percorrere per comprendere il senso di questa narrazione, che, a mio avviso, tanto ha di filosofico, di teoretico, perché investe un tema centrale nell’esistenza di ognuno di
noi: la coscienza di vivere potendo scegliere.

E vorrei aggiungere a questo pensiero profondo dell’autore anche altro, perché molto oltre si spinge questo libro: esplora soprattutto quell’orgoglio di chi può dire di essersi, poco alla volta, liberato, slegato, sciolto da ciò che per motivi educativi – e nel libro lo si capisce chiaramente – ci frena sin da piccoli e ci posiziona all’interno di un quadro, di un cliché, che altri hanno preparato per noi.

Benissimo, se c’è la capacità di mettersi completamente a nudo offrendosi per quelli che si è, facendo trapelare emozioni, sentimenti, ciò che pulsa nell’intimo, beh, allora questa capacità di slegarsi, di emanciparsi, permetterà all’essere umano di ottenere “la” vittoria e di potersi sentire effettivamente, non più gravato da un destino, da una condizione in cui altri hanno scelto per te e tu non puoi scegliere, ma piuttosto in una condizione in cui sei tu, soltanto tu, ad aver operato la scelta e grazie a questa scelta ad avere sperimentato la responsabilità, ma anche l’ebbrezza della libertà.

In queste pagine, ecco, si gioca perennemente sul filo di un rasoio con le plurime opzioni e c’è sempre il tormentato dilemma fra libertà, in cui si “rischia”, ci si butta oltre l’ostacolo, e l’affidarsi invece alla sorte in cui si “azzarda”, non avendo coscienza dei propri talenti, non sentendo in sé la forza, la determinazione di provare a strappare la camicia di forza, all’interno della quale ci sentiamo costretti.

Prendendo come esempio la vicenda di un ragazzo, Nik, che è il protagonista di queste pagine (anche se poi ci sono altri che accompagnano questo protagonista e assumono un rilievo assai importante: penso a un professore, a Patella il vecchio pescatore… ) questa storia mostra quante tensioni abbiamo fin da subito verso la libertà e quanto queste tensioni, vengano molto spesso sedate, cloroformizzate, anestetizzate, mortificate dalla paura di rischiare davvero, dall’angoscia della libertà.

Per certi versi, per quanto siano decenni che non rileggo quelle pagine, mi son ricordato qualcosa di Dostoevskij, di Kierkegaard… però, ecco, lasciando stare questi riferimenti, ritrovo in questo libro tutta la necessità, e la volontà, di far
affiorare, per farlo sconfiggere, quel vissuto che alligna in ogni coscienza e che molto spesso fa deragliare, anche in maniera rovinosa, perché troppe volte quello che facciamo non è ciò che abbiamo scelto e ci lascia perennemente insoddisfatti.