Si è conclusa poco fa la missione di due giorni fra Trentino e Alto Adige, dove, insieme alla Collega Stefania Ascari, abbiamo incontrato i Commissari del Governo, la autorità delle Forze dell’ordine, degli organismi investigativi e testimoni privilegiati del territorio: giornalisti, associazioni per la legalità, associazioni di imprenditori.
E posso dire che abbiamo speso bene questo tempo, anche a supporto delle Istituzioni e delle comunità locali.
Se parliamo del virus-mafia, il Trentino è davvero una terra con buone difese immunitarie: alto spirito civico e senso della comunità, favoriti dalla bassa densità di popolazione, distribuita in tanti piccoli borghi.
Ma si tratta di una immunità “di base”. Mancano gli anticorpi specifici, quelli che sappiano riconoscere il virus. Per forza: prima il virus non c’era.
E poi il virus-mafia è mutato: non spara più, non fa esplodere bombe, non incendia, non compie pestaggi.
Va ovunque ci siano soldi (e in Trentino ce ne sono tanti): le cave di porfido, il turismo, l’agroalimentare di eccellenza…
Si presenta attraverso intermediari che parlano con accento locale, propongono vantaggi, ti offrono affari; si presentano con il contante in valigetta e ti insegnano come evadere, farla franca… tu ti fidi e poco dopo la trappola scatta. E un po’ per paura, un po’ per compiacenza ti trovi dall’altra parte.
Che la ‘Ndrangheta fosse insediata in Trentino lo si scopre oggi, molto tempo dopo che vi si era radicata; lo si scopre quando affiorano quei metodi che le nostre “difese” storicamente conoscevano: come ad esempio l’auto incendiata nel 1986 (!) di un vicesindaco in una giunta ambientalista, che vuol vedere chiaro nelle cave….
È un episodio quasi isolato, ci si interroga, ma dopo un po’ passa, non ci si può credere.
Finché si vedono leggi provinciali che non vengono mai applicate… poi ancora leggi che cambiano secondo gli interessi dei concessionari…. Trasparenza negata…. Accessi agli atti negati.
Ma ancora sembra “solo” conflitto di interesse, malcostume politico-amministrativo.
Finché ci scappa il pestaggio selvaggio di un operaio, già ridotto tra lo sfruttamento e la schiavitù.
È qui che si aprono gli occhi.
A questo punto è chiaro che ci si trova di fronte a qualcosa che in Trentino non c’è mai stata. Lo spaccio di droga, questo si vedeva, ma nessuno può immaginare che addirittura la ‘Ndrangheta possa avere occupato l’imprenditoria e le istituzioni locali.
Finalmente le denunce di giornalisti e sindacalisti coraggiosi, prima sbeffeggiati, sono confermate in tutta la loro gravità. Ma ancora si fa fatica a credere e soprattutto si rifiuta di credere che non sia un caso isolato.
Ma in un altro piccolo comune scoppia un caso simile, in una grossa azienda locale emergono collegamenti con vicende siciliane. La magistratura indaga, i cittadini restano scettici.
Eppure la salute di un organismo, come di una comunità, dipendono dal saper riconoscere la malattia.
Gli anticorpi agiscono perché sanno riconoscere il virus al proprio interno: allora lo combattono.
Le difese immunitarie non agiscono nell’aria o nell’acqua, ma dentro l’organismo quando il virus è penetrato.
Questo si comincia a percepire.
Adesso sono più fiducioso.
Ma c’è molto da fare, perché gli appetiti sono molti. Ci sono i fondi del PNRR, gli appalti per la circonvallazione ferroviaria, i contributi europei, che rendono grasso il vitello, ma anche la crisi pandemica e dovuta alla guerra che lo indeboliscono.
È urgente una verifica sulla trasparenza nelle pubbliche amministrazioni e la Provincia Autonoma dovrebbe essere la prima a collaborare.
È urgente un osservatorio sul fenomeno delle mafie.
Chi lo contestasse o ne rallentasse l’istituzione, o lo istituisse con criteri ambigui dovrebbe spiegare perché.
Ai cittadini.
Qui si dimostra di essere “comunità”